Martin Puryear - Liberty/Libertà

Martin Puryear

Liberty/Libertà
a cura di Brooke Kamin Rapaport
Padiglione degli Stati Uniti – 58° Biennale di Venezia


 L'opera di Martin Puryear, l'artista ospitato dal padiglione degli Stati Uniti alla Biennale di quest'anno, non è particolarmente nota in Italia, se non da chi abbia potuto apprezzare le due grandi sculture in legno presenti nella collezione di Villa Panza di Biumo. Ciononostante si tratta di un protagonsita della scena artsitica americana celebrato da una retrospettiva al Moma di New York nel 2007, momento culminante di una carriera iniziata alla fine degli anni Sessanta all'insegna del minimalismo. Quello che caratterizza la ricerca di questo artista è una qualità artigianale nella scelta e nel trattamento dei materiali  che fa sì che quella matrice, ancora chiaramente riconoscibile, assuma un singolare carattere per così dire “tradizionale” che ne emenda la freddezza e l'impersonalità.

La mostra, intitolata “Liberty/Libertà”, in effetti è solo l'ultimo frutto della lunga frequentazione che Puryear intrattiene con la storia del proprio paese e le connesse vicende politiche e sociali, quanto di più lontano dalle istanze “oggettive” della corrente minimalista.

L'architettura neoclassica del padiglione, considerata come espressione della discendenza dei principi costituzionali americani dall'antica repubblica di Roma, è in buona parte censurata da un'enorme grata il cui disegno non è altro che la proiezione di una cupola vista dal basso, come quella che corona l'edificio stesso. Questa raffigurazione è sostenuta però, dietro le quinte, da una minacciosa coda serpentina, indizio che ci prepara a una critica nei confronti delle promesse di stampo illuminista. Una volta entrati nel padiglione, la maggior parte delle sculture che campeggiano nelle sale interpreta il motivo del berretto tradizionale dove la quotidianità spesso si è caricata di significati politici e spirituali, ancora una volta all'insegna della libertà e del progresso. Tra le pieghe di queste forme però, sembra suggerirci l'artista, si celano anche i fantasmi della corruzione degli ideali che esse veicolano. Il percorso inizia con un solido berretto frigio, quello che contraddistingueva i rivoluzionari francesi, poi le forme successive si rivelano sempre più problematiche e ingegnose nella loro struttura, fino ad arrivare a un kepi militare della guerra civile americana, che rivela al suo interno la sagoma di un antico cannone. All'osservatore curioso il cannone si mostra come l'iride di un occhio, forse quello stesso oculo che campeggiava sulle nostre teste in cima alla cupola. Si potrebbe quasi sottotitolare: l'aspro esito di un mito occidentale.

Massimo Marchetti