Commonplace - Ruskin Gallery & Gallery 9, Cambridge (UK)
PLACE: Relinking, Relating, Relaying
An exhibition by artists from Italy, Slovenia, Bosnia & Herzegovina and Cambridge
25 January – 17 February 2018
a cura di Robert Good e Rebecca Ilett
Per
parlare del mio lavoro debbo fare una premessa: l'attenzione che ho spesso
dedicato a culture lontane dalla mia non è convenzionale ma è motivata da un
percorso che mi ha portato effettivamente a vivere in quei luoghi per lunghi
periodi.
C'è
dunque un'idea di “spostamento” all'origine del mio lavoro, che non va intesa
nell'accezione del semplice viaggio. I frequenti spostamenti mi hanno costretta
a confrontarmi con realtà complesse, spesso a me sconosciute, nelle quali ho
dovuto necessariamente immergermi.
Sin
dagli anni Novanta, quando nel dibattito pubblico l'attenzione verso quell'area
non era ancora così acuta, mi sono rivolta al mondo arabo, dove ho vissuto e
lavorato per circa tre anni. È in Marocco, infatti, che ho iniziato a
sviluppare alcune peculiarità del mio lavoro che ancora oggi mi legano
profondamente a quella cultura e che approfondirò poi in Medio Oriente, in
Egitto e in Etiopia. In questi anni ho rafforzato e precisato un gusto per la
decorazione antica e per il segno – come quello indelebile lasciato dalla zibibba
sulla fronte dei credenti che quotidianamente poggiano la fronte sul tappeto
per pregare – verso cui ero già predisposta per le mie origini siciliane.
Nel
frattempo, però, il mondo è profondamente cambiato. E la curiosità, purtroppo,
si è trasformata spesso in paura nelle società occidentali. Quello che per me
all'inizio della mia carriera artistica era ricerca, ora è diventata dibattito
politico e sociologico. Ma, indipendentemente da tutto ciò, la mia ricerca
prosegue nella direzione originaria che mi ha condotto fin qui.
Il
segno che ho proposto per la mostra “Place” vuole suscitare l'attenzione su una
figura che, anche se può risultare non immediatamente identificabile, dovrebbe
essere familiare a tutti perché vista sui libri di scuola, sui giornali o in
televisione. Per qualcuno, forse, questa figura tenue e delicata, ma allo
stesso tempo vasta e invadente evocherà innanzitutto l'origine della civiltà,
mentre per altri, invece, sembrerà un'allusione alle guerre degli ultimi anni:
in ogni caso questo segno ci coinvolge nel cuore della Storia.
Anche
il concetto di “invadenza”, inteso in senso più intellettuale che fisico, è
stato al centro di altri miei lavori, come nella serie di ricami No, Non li sopporto,
Nausea, Senza presentata subito
dopo il mio ritorno dall'Egitto dopo oltre un anno di permanenza. Anche in
questo caso si tratta di un lavoro basato sul segno, un segno che diventa
paradossalmente espressione di incomunicabilità con un mondo che nel corso del
tempo, anziché chiarirsi, mi è apparso sempre più impenetrabile. Ho preferito
che questo segno non venisse materialmente confezionato da me, ma da
professionisti locali in modo da far emergere, senza ipocrisie, come da un
rapporto conflittuale tra chi ospita e chi viene ospitato si possa sviluppare
un nodo inestricabile e soffocante.
Data la natura autobiografica della mia ricerca, naturalmente in diversi lavori si può rintracciare anche è un filo sottile che mi riporta alla dimensione più intima delle mie origini: la Sicilia, la mia famiglia e il nome che porto. In un'opera del 2008, E così ora lo sai..., il segno è dato dalla fitta grafia presente in un vecchio quaderno di appunti scritto da mio padre – e da lui stesso letto durante il vernissage – dove le memorie di suo padre creano il filo conduttore della nostra famiglia, una traccia indelebile che passa da una generazione a un'altra, con nomi che cambiano, origini che si fanno incerte, cognomi imposti e genitori mai ritrovati.www.adrianatorregrossa.com